ROMPIAMO IL SILENZIO - Daniele Crotti - 4 aprile 2020

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Rispondo subito alla vostra proposta.
Eccovi un racconto scritto prima di Pasqua, a marzo, poco dopo essermi incanalato in questo tunnel di riposo a casa.

marzo duemilaventi:

9 marzo: Festa del Papà (senza le frittelle di san Giuseppe)

20 marzo: Giornata mondiale della Felicità (momenti ardui per questo)

21 marzo: Giornata mondiale della Poesia(la poesia salverà il mondo, diceva qualcuno)

ed è arrivata la prima rondine (in un bel giorno di primavera)

Coronavirus: tutti uniti dalla distanza, è un aforisma che bene inquadra lo stato d’animo penso assai diffuso anche tra noi. Ma molti altri consimili, di aforismi, di frasi, di pensieri, legati a questo evento drammatico, ne sono stati scritti o sicuramente ipotizzati. In questi giorni, in queste settimane di riposo forzato a casa, è stato detto, suggerito, scritto molto. Cosa fare, come fare, perché può essere successo tutto ciò. “Spillover” ce lo insegna; ma la nostra disattenzione, la nostra superficialità, la nostra ignoranza, la nostra supponenza ci ha distratto, per usare un eufemismo.

I rimedi per superare queste settimane, questi mesi che ci costringono e ci costringeranno ad evitare ammucchiate, per usare il termine più brutto (ed essere consciamente drastici), sono stati e sono tanti. I soliti.

Giocare e giuocare (nel più o meno ristretto nucleo famigliare, ovviamente, immagino da 2 – sfortunato certo chi si ritrova da solo - a 4 o 5 soggetti, di rado assai di più), leggere e rileggere, ascoltare musica (quella che piace: a ciascuno la sua), un buon programma radiofonico o televisivo, camminare e viaggiare dentro noi stessi e in noi stessi, scrivere per raccontare e partecipare - compartecipare avrebbe proposto con determinazione Aldo Capitini - , ripensare e ricordare [la memoria serve in questo presente e stimola per un futuro più saggio] piccole o meno piccole altre cose (res).

Ciò che forse (forse?) più mi ha colpito di quanto è stato detto e ridetto (da nostri detrattori?) sta succedendo, a quanto è inaspettatamente esploso (soprattutto o comunque inizialmente in Italia), è l’accusa verso la nostra abitudine di eccessive intimità anche inopportune, inutili, forzate, ridondanti: baci, abbracci (e sputi, verrebbe da pensare, visto che proprio le maledette goccioline – droplets le chiamano gli scienziati divulgatori - , vuoi di Pflügge o meno, sono o sarebbero la causa principe della trasmissione virale, di questo micidiale Sars-Cov 2, responsabile della Covid - 19). E alcuni giornalisti nonché alcuni esperti già avvertono di non ricadere in tali stereotipate effusioni non appena l’emergenza sarà finita. In effetti i sentimenti dovrebbero essere più di
qualità che di quantità, più di sostanza che di forma, più sinceri che artificiosi. Un amico, o che tale comunque io ritengo, sottolinea non a torto la differenza tra socialità e promiscuità confusa e indistinta. Mi potrebbe trovare d’accordo. Ma tornano al “tu tutti” e al noi tutti, in questa fase anomala (è vero: è la più grande calamità che ha coinvolto e sconvolto, dopo l’ultima tragica guerra mondiale, noi, tutti noi, nati o vissuti dopo la sua fine) del nostro percorso di vita, privata e pubblica, religiosa (in senso di etica) e laica (nel rapporto anche con l’altro, un potenziale io stesso).

Sin dall’inizio della mia presa di coscienza di tale stato di cose (res), ho riflettuto, immaginato, mi sono sbizzarrito a valutare scenari personali di “sopravvivenza”, vita altra dalla consuetudinaria routine (e scusate il bisticcio ripetitivo) che non di rado ci attanaglia o ci illude, ma magari è proprio la nostra scelta di essere ed esserci.

In questi giorni (e lo sarà per molti ulteriori a venire) ho giuocato, camminato soprattutto nella memoria, letto, scritto, partecipato con qualche e a qualche amico le mie divagazioni, i miei pensieri, le mie fantasie, i miei ricordi, le mie bizzarrie e contraddizioni, il mio spirito talora “maligno”.

Sono tempi, questi, in cui vi è o vi sarebbe l’occasione di comunicare in maniera più rilassata, più riflettuta (e riflessiva), maggiormente ragionata e meno frettolosa: una telefonata come un tempo per sentirsi insieme, messaggini, consumistiche videate grazie a sofisticate applicazioni sovente scontate e ingannatrici, stressanti comunicazioni non di rado fredde, banali, pesanti e/o ripetitive nel loro insensato automatismo (a meno che…).

Ecco allora a seguire alcune mie riflessioni, forse anche proposte o semplici suggerimenti, per “ingannare” il tempo apparentemente superfluo che ci attanaglia quotidianamente, e penso soprattutto a chi non ha la fortuna
di abitare in campagna, come me, ove le giornate passano non dissimili da tante altre in e di tempi meno pericolosi. Ciononostante anche per me è l’occasione di “riassettare”, di “sistemare”, di “ripulire” (le già citate,
in mie precedenti note, pulizie pasquali: benedette ma senza benedizione). Oltre a ciò leggete, sfogliate, quanto amicalmente vi trasmetto e grazie per la anche modica attenzione e/o condivisione.

 

 

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